San Giuseppe il cuor vi dono

Quando i miei fratelli ed io eravamo bambini la mamma ci faceva pregare tutte le sere. C’erano preghiere per tutti i gusti. Dal “buona notte Madonnina…” all’ “Angelo Santo stammi vicino…”. Non mancavano nemmeno giaculatorie e latinismi. E, naturalmente, c’era anche un pensiero speciale per San Giuseppe. La preghiera rivolta a lui diceva così: “San Giuseppe il cuor vi dono, sempre a voi ricorrerò. Non lasciatemi in abbandono finché al cielo io giungerò. San Giuseppe, padre putativo di Gesù Cristo, vero sposo di Maria Vergine, pregate Gesù per noi e per gli agonizzanti di questa notte”. I poveri agonizzanti diventavano poi “di questo giorno” nelle preghiere del mattino.
Quando chiedevamo alla mamma cosa significasse questa strana espressione, “padre putativo”, lei ci diceva: “San Giuseppe è il papà di Gesù su questa terra. Gli ha insegnato a parlare, a pregare, gli ha insegnato le buone maniere e anche il mestiere di falegname. Gesù, San Giuseppe e la Madonna sono la Santa famiglia di Nazareth, modello di tutte le famiglie”. Così, sono cresciuta con questa immagine di San Giuseppe: il padre putativo di Gesù. Ed è stato molto utile! All’università, durante una lezione di diritto privato, il professore cominciò a parlare, raffrontandole dal punto di vista giuridico, della figura del “padre naturale” e del “padre putativo”. Il compagno seduto accanto a me mi toccò il braccio e mi sussurrò: “… ma ‘sto padre putativo cos’è?”. La domanda mi sembrò così strana: possibile che non sapesse di San Giuseppe?!? Quindi non seppi rispondere altro che: “E’ come San Giuseppe, no!?”. Si ritirò al suo posto. Al termine della lezione si avvicinò di nuovo per ringraziarmi, perché l’esempio, disse, “è stato illuminante” ed aveva capito tutto!
Quando, l’8 dicembre 2020, Papa Francesco indisse l’anno dedicato a San Giuseppe, in occasione del 150esimo anniversario della sua proclamazione a Patrono della Chiesa Universale, ne fui molto felice. E nella mente riaffiorarono i ricordi di quelle preghiere recitate in casa, accompagnate sempre da qualche “chicca” di catechismo spiccio ma mirato; delle tante Messe celebrate al cimitero il 19 marzo di ogni anno, perché San Giuseppe non è solo il “padre putativo”, ma, come ci hanno insegnato i nostri don, è pure il patrono della “buona morte”; dei tanti “A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo…” recitati in chiesa nel mese di marzo…
Quindi, quando il don ci comunicò che aveva pensato di abbellire la nostra già stupenda chiesa con una immagine di S. Giuseppe mi sembrò la naturale prosecuzione di un percorso di devozione che la nostra Parrocchia aveva già da tempo intrapreso. Senza fare tanto schiamazzo. Silenziosamente. Come S. Giuseppe, l’ “uomo del silenzio”. Così, l’8 dicembre 2021, abbiamo accolto tra noi la statua del Patrono della Chiesa Universale. Anche il Vescovo ha voluto essere presente attraverso il suo Vicario. Cosa dire? E’ stato bello! Come ogni festa che si rispetti, anche questa è stata preceduta da intense giornate di preparazione. E’ così: alle belle feste si arriva sempre un po’ stanchi. Perché le occasioni di preghiera, di riflessione, di “Chiesa” non ci vengono certo risparmiate! E c’è anche da correre un po’, se le si vuole cogliere tutte! Ma vogliamo discutere del bottino che poi ci si porta a casa?!? Un bottino di crescita. Umana prima ancora che cristiana.
Ed infatti, quando, la sera del 6 dicembre, don Angelo ha cominciato il suo intervento sulla Patris corde, la lettera apostolica del Papa sul cuore di San Giuseppe, un “cuore di padre”, appunto, l’abbiamo capito subito dalle prime parole che sarebbe stato un contributo tosto: “La nostra fede va alimentata, ritrovandoci, parlando, ascoltando, discutendo. Non bisogna solo fare, bisogna anche un po’ capire!”. Ed è vero: è molto più facile fare che pensare. Lo sperimentiamo tutte le volte che ci ritroviamo anche per le attività parrocchiali: è più facile preparare la lista delle cose “da fare”, che trovarne il senso, svilupparne il significato ed applicarlo alla propria vita. In questo la quotidianità di San Giuseppe, con i suoi momenti di sonno, di sogno e di risveglio, ci indica una chiave di lettura preziosa che parte dall’accettazione della propria storia (le cose capitano, anche senza che noi lo vogliamo…), prosegue con la sua interpretazione con la luce della Parola di Dio (la conosciamo?) e sfocia nel “coraggio creativo” di fare qualcosa di bello proprio con quella vita, spesso diversa da come l’avremmo voluta. Impresa difficile? Direi di sì. Troppo difficile? Forse no. Ci proviamo? Sì.
Del resto, anche Giuseppe “della casa di Davide”, proprio quando era convinto di avere raggiunto la stabilità nella sua vita, si è trovato travolto in un progetto inatteso, grande e sconvolgente. E con il suo sì ha partecipato al disegno di Salvezza di Dio per tutta l’umanità. Ce ne ha parlato l’attore Pietro Sarubbi quando, la sera del 7 dicembre, ci ha proposto “Giuseppe, il Misericordioso”. Anche grazie alla scenografia più che scarna, siamo stati letteralmente rapiti dal monologo. E noi, che ci riempiamo sempre la testa di rumori, di suonerie e di parole, più o meno sensate o insensate, ci siamo trovati a pendere dalle sue labbra! E quanti sentimenti, riflessioni, provocazioni, ci hanno suscitato la sua voce e la sua arte! Abbiamo potuto cogliere, quasi nella sua nudità, tutta l’umanità del padre putativo di Gesù e dello sposo della Vergine Maria. Un’umanità fatta di amore e passione per il proprio lavoro, di preghiera, di comunione e fratellanza. Ma anche di delicatezza, di purezza, di rispetto e serietà, di abbandono e lungimiranza. Di fede.
Cosa mi è piaciuto di più? Tutto. Mi è piaciuto proprio tutto di questo triduo “giuseppino”. Mi è piaciuta l’idea del don, mi è piaciuto avere spolverato i miei ricordi, mi è piaciuto il contributo di don Angelo, mi è piaciuto lo spettacolo di Pietro Sarubbi, mi è piaciuta la presenza del Vicario Episcopale, mi è piaciuta la statua di San Giuseppe.
Ma, più di tutto, mi è piaciuto esserci.

Alba