Alla ricerca del Sacro Graal

In Era Covid l’idea di viaggio è diventata più distante della meta stessa.
Certificati, timori e incertezze di ogni genere ci hanno creato un distanziamento che spesso, oltre che fisico, e diventato anche mentale. Eppure viaggiare apre la mente, ci fa conoscere, capire e crescere. Ed è per questo che, quando don Vito ci ha chiesto di pensare ad una rubrica personale periodica per il bollettino, non ho avuto dubbi. Per cui ecco il mio ultimo viaggio, che dal titolo sa tanto di avventura esotica, ma che in realtà e più vicino di quanto si creda.

La versione maggiormente accreditata di quello che libri e film ci hanno raccontato come Sacro Graal, si trova infatti a Valencia, in Spagna, con il nome di Santo Caliz. Vien custodito nella superba cattedrale della città, in una monumentale cappella che ne mistifica l’atmosfera. Un luogo che di certo trasuda storia, arte e fede, ma non è ciò di cui voglio parlarvi. Seppure infatti il Santo Caliz fosse fra i must to do (“cose da fare”) a Valencia, ciò che più mi ha colpito e la sua doppia anima. La città spagnola si presenta infatti vestita di modernità, con complessi avveniristici firmati da archistar, che ospitano musei di scienze, arte e acquari giganteschi, innalzati dove in tempo scorreva e il fiume Turia, deviato anni fa da un ambizioso progetto, per dare spazio e verde urbano e centri di socialità. Il tepore anomalo di questi giorni della merla trascorsi in terra iberica raccontano di una città che sembra vivere nella globalizzazione che ormai ci avvolge.

Ma se si torna in centro, fra i vicoli stretti e i campanili barocchi si riscopre la Valencia delle tradizioni. Il primo giorno, visitando il mercato centrale, campane a festa e musica di una banda mi portano alla piazza innanzi alla chiesa di San Juan, dove una vivace processione porta una statua della Madonna col bambino, con Santi annessi, tra applausi generali e fedeli che tentano di toccare il manto della Vergine. Il simulacro della Madonna, a sua volta, pare protrarsi in avanti, sciogliendo sulla schiena una folta crine nero corvino. Presupponendo una processione di una delle parrocchie cittadine faccio la foto di rito e mi avvio verso il centro storico, cercando la chiesa di San Nicola, un tripudio di affreschi che ne copre l’intera superficie, eleggendola a tutti gli effetti a Sistina Valenciana. Qui scopro la devozione cittadina per San Nicola, tant’è che per tre lunedì di fila la chiesa resta chiusa alle visite culturali per un rito, detto appunto “dei tre lunedì”, che consiste in processioni individuali e silenziose fatte da casa propria sino all’altare di San Nicola. Uscendo dalla chiesa mi colpisce una piccola statua della Madonna, già vista da qualche parte, ma che, sul momento, non riesco a ricordare dove. Tra una visita e una paella è già ora di tornare e, tra i vari negozi di souvenir eccola ancora, quella Madonna dai capelli neri china in avanti vista a San Nicola e che ora appare fra magneti e piatti in ceramica, altra non è che quella già incontrata nella festosa processione. Scopro quindi che si tratta della Vergine degli abbandonati, patrona di Valencia, festeggiata ogni mese di maggio con tanto attaccamento popolare, tant’è che durante il restante periodo dell’anno viene contesa fra le varie parrocchie cittadine, che ne fanno altrettante feste patronali.

Una bella storia di fede e tradizione, ma anche di storia e arte, che mi portano a sperare che anche il nostro mese di maggio prossimo, pandemia permettendo, possa essere momento di incontro con i tradizionali rosari nelle contrade e l’ormai consolidata rievocazione dell’apparizione di Fatima.

Mattia Travaini