Il fine (vita) giustifica i mezzi

A tutti noi è probabilmente capitato almeno una volta nella vita, di fronte ad una persona che soffre da tanto tempo, che non ha una prospettiva di miglioramento, oppure che è costretta a trascorrere la propria esistenza in uno stato vegetativo, di pregare il Signore affinché la chiami al più presto a sé.
E se a soffrire senza via d’uscita fossimo noi, probabilmente saremmo disposti a tutto pur di metter fine all’agonia, anche a chiedere di “farci morire”.
Quindi, se ci fosse sottoposta la domanda: “Volete voi che sia abrogato l’art. 579 del Codice penale (omicidio del consenziente) approvato con R.D. 19 ottobre 1930, n.1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole “la reclusione da 6 a 15 anni”; comma 2 integralmente; comma 3 limitatamente alle seguenti parole “Si applicano”?” Cosa risponderemmo?
Questo appena citato è il quesito che sarebbe stato proposto a tutti noi tramite referendum, se la Corte costituzionale non l’avesse dichiarato inammissibile con la seguente motivazione: “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana in generale e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili. “
Il referendum voleva legalizzare l’eutanasia in Italia (l’omicidio del consenziente, previsto dall’art. 579 c.p. infatti, non è altro che un reato inserito nell’ordinamento per punire l’eutanasia).
In poche parole, con questo intervento la somministrazione di farmaci per porre fine alla propria vita sarebbe stata consentita, chiaramente in presenza di consenso informato e di testamento biologico preventivamente sottoscritti.
Volevano quindi domandarci: sei d’accordo nel porre fine alla tua vita?
Recentemente Papa Francesco ha affermato che “Non c’è un diritto alla morte, dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio … Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati. Infatti, la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata.
Queste parole del Papa, espresse in modo così semplice ma incisivo, sono indirizzate a tutti, cristiani e laici e vanno oltre la visione religiosa della vita e della morte, si tratta di un principio etico, che dovrebbe essere ben radicato in ogni essere umano.
Quindi, piuttosto che verso un referendum sull’eutanasia, non è forse più urgente che l’impegno politico e lo sforzo collettivo vengano indirizzati al miglioramento della qualità della vita, sia dal punto di vista fisico che affettivo? Per esempio, trovando mezzi e risorse economiche da investire nella ricerca di cure che diano una maggiore speranza di vita ai malati di patologie ad oggi ritenute incurabili, oppure facendo in modo di garantire che ogni persona possa avere accesso alle migliori cure, indipendentemente dalle disponibilità economiche e dalle raccomandazioni.
E noi, nella nostra quotidianità, cosa possiamo fare? Semplicemente quello che la carità cristiana ci invita a fare: offrire il nostro tempo e il nostro affetto a coloro che si trovano nella malattia e nella sofferenza e un aiuto concreto ai famigliari che quotidianamente li assistono. Anche nella nostra comunità purtroppo ci sono persone che stanno vivendo momenti disperati e per i quali un sorriso, una carezza, una parola potrebbero portare molto sollievo e serenità al loro cuore.
La presenza di qualcuno che ci vuole bene durante la malattia e che ci tiene la mano negli ultimi momenti della nostra vita, probabilmente vale di più di una qualsiasi iniezione.

Giovanna Borromini