Dietro al portone…

Camminare sembra diventato l’attività predominante della domenica pomeridiana. In questi ultimi due anni, complice la clausura obbligata, imposta dalle norme restrittive in vigore, una passeggiata sulla strada di Pala, fra le vigne o sui sentieri poco battuti, ha regalato una ventata di libertà e una parvenza di normalità un po’ a tutti.
Camminare, che sia in solitudine o in compagnia, ci permette di staccare, di riflettere, ma anche di ripercorrere dei sentieri e vivere dei luoghi che spesso, nella frenesia di tutti i giorni, sfuggono alla nostra attenzione. È il caso di un panorama del fondovalle segnato dal gelo invernale, dei sentieri che si perdono nella trascuratezza dell’imboschimento, spesso segnati dal susseguirsi di cappellette votive, che raccontano di un mondo contadino che ormai non c’è più.

Ed è anche il caso della nostra piccola, ma bellissima chiesa di San Pietro. Nella sua modesta struttura architettonica, San Pietro resta sempre un po’ in disparte, fuori dall’attenzione comune.
Quanti, ad esempio, si sono accorti del nuovo portone ligneo? Dalla primavera scorsa infatti, la facciata della chiesetta sfoggia un bellissimo ingresso che però di nuovo non ha proprio nulla, anzi. Altro non è che il vecchio uscio, liberato dalla pesantezza delle perline, che ne nascondevano la sobria, ma elegante struttura. Sono bastate delle mani esperte e capaci di Gino e Nicola, una buona dose di entusiasmo e tanta voglia di fare (insieme) qualcosa per la comunità, per restituire un ingresso ancor più dignitoso alla nostra piccola chiesetta patronale.
Ora quella porta è solo da varcare per scoprire cosa si cela all’interno. Nella sua semplicità, infatti, la chiesa contiene alcuni tra gli affreschi più antichi dalla Valtellina, risalenti al 1300 e 1400 d.C.
Sulla parte Nord troviamo affrescata la rappresentazione del l’ultima Cena, mentre sulla parete opposta si trovano un Santo Vescovo, un’immagine di Cristo inchiodato alla croce con un soldato a fianco e a destra una Monaca e due Sante. Il tutto “corredato” da diverse iscrizioni che vanno dal 1461 al 1567 e che raccontano una storia di numerosi rimaneggiamenti sia pittorici che architettonici.
Nell’abside, sopra l’altare, una tela datata 1751 racconta una storia che, dopo secoli, ancor oggi si ripete, fatta di emigrazione e attaccamento alle origini, come emerge dalla targhetta posta in basso alla cornice dell’opera, che riporta: “Diversi benefattori di Buglio emigrati a Roma fecero questo quadro”.
Infine, per noi irriducibili camminatori, qui c’era anche l’affresco di San Cristoforo (oggi nella chiesa in suo nome), protettore di tutti i viaggiatori, di cui è ancora visibile chiaramente lo stacco dell’intonaco dalla parete sud dell’edificio.

Purtroppo, per ovvie ragioni logistiche dettate dalle norme di distanziamento sociale, la chiesa non è più stata utilizzata nelle funzioni serali del periodo estivo scorso, aprendosi alle visite e alla preghiera solo in occasione della festività di San Pietro, a fine giugno.
Insomma, un piccolo gioiello da riscoprire (e valorizzare!) non appena possibile.

Mattia Travaini